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Colombe, rondini, cornacchie, merli ed amici

Durante il periodo di vita lombardo le giornate erano scandite dagli incontri con gli utenti dell'ambulatorio lodigiano per immigrati stranieri nel quale lavoravo.
Storie di lunghi e faticosi viaggi e di grandi sofferenze ma anche di scarsa progettualità e talvolta scarse risorse cognitive che non lasciavano presagire un futuro roseo.
Spesso rientravo da Lodi a Cremona via treno passando per i campi. Una volta in stazione percorrevo il lungo viale che mi portava a casa. Il frastuono di vetro e metallo che sbatteva assicurava la chiusura del portone del palazzo. Rientravo velocemente, spesso sudato dalla fatica e dal caldo padano, passando per il cortile interno che si apriva tra le facciate interne dei palazzi. Il grande albero di albicocche lentamente appariva davanti ai miei occhi attorniato dalle bici dei condomini.
Nei miei due anni di permanenza il cortile è stato frequentato da varie tipologie di animali, perlopiù volatili come colombe, cornacchie, rondini e merli.
Gli uccelli sono i migranti per eccellenza: migrano sopra le nostre teste senza chiedere alcun permesso scandendo il passare delle stagioni.
Alcune colombe frequentavano il cortile da privilegiate: venivano sfamate dalla signora del primo piano che dal balcone della cucina permetteva loro di entrare dentro casa. Ho sempre pensato alla sporcizia portata da questo animale che poggia le zampe rosa ovunque, che ha tra le piume i più strani batteri esistenti. Per questo motivo mi ha sempre fatto sorridere vedere in estate gruppetti di colombe fare docce improvvisate sotto i rubinetti che perdono delle fontanelle o dentro le fontane, quasi a mantenere una certa igiene e voler confutare la mia idea della loro igiene. Nei momenti di quiete del cortile non era strano trovarle a tubare su quel balcone. Mi fermavo ad ascoltare quel suono soffice e rilassante. Quel suono mi riporta ancora oggi all'adolescenza, quando andando a casa di un amico sentivo il tubare delle colombe sopra la veranda gialla mentre noi ascoltavamo musica.
Le giornate erano lunghe, spensierate e luminose.
Il cortile non era frequentato dalle cornacchie, loro preferivano le antenne del palazzo sulla sinistra della grande finestra del soggiorno di casa nostra. Mi bastava alzare lo sguardo per osservare quell'animale nero che, mentre era attento a chissà cosa, emetteva quel suono stridulo che è a tutt'oggi insulto per le persone che si fa difficoltà ad ascoltare.
Le rondini, in qualità di Ferrari dei cieli metropolitani, volavano in quella corte interna a velocità.
Chiunque provava a seguirle con lo sguardo doveva impegnarsi a non perderle. Era una continua sfida che l'animale lanciava all'osservatore attento.
Le rondini sfrecciano in cielo a grandi velocità perlopiù a stormi. Per volare serve velocità d'ali e di pensiero perché non appena la prima dello stormo devia il volo le altre seguono sfidando la gravità con virate degne dei migliori piloti del cielo.
I merli, invece, vivevano in modo più viscerale il cortile. Sapevano tutto delle nostre abitudini, ci conoscevano in modo approfondito. Dovevano avere studiato ognuno degli inquilini dei tre palazzi che creano il cortile. Sicuramente sapevano cosa mangiavamo perché i nostri scarti divenivano la loro cena. Sapevano i nostri orari di uscita e rientro perché quando non eravamo presenti scendevano per terra a fare due passi: quando si sentivano minacciati dalla nostra vicinanza aumentavano la velocità della camminata portando la testa avanti in modo buffo per bilanciare il movimento.
Nel tempo le passeggiate nel cortile erano sempre più frequenti tanto da aver instaurato un certo rapporto di fiducia con noi inquilini. Riuscivamo a mantenere zampe e piedi sui grandi lastroni grigi che attorniavano il grande albero di albicocche. A volte ci scrutavano da lontano per capire se era il caso di restare o fuggire. Poi, quando noi inquilini diventavamo invadenti, scappavano; salivano sull'albero o addirittura sui tetti, maledicendo con i loro versi la nostra curiosità. Se il Merlo si allarmava, nel levarsi emetteva uno stridente ed improvviso chiacchierìo che può spaventare se non si è troppo accorti. Calvino ha descritto il fischio dei merli, sostenendo che "è identico ad un fischio umano [...]. Dopo un po' il fischio è ripetuto – dallo stesso merlo o dal suo coniuge – ma sempre come se fosse la prima volta che gli viene in mente di fischiare; se è un dialogo, ogni battuta arriva dopo una lunga riflessione [...]. E se fosse nella pausa e non nel fischio il significato del messaggio? se fosse nel silenzio che i merli si parlano? Un silenzio, in apparenza uguale ad un altro silenzio, potrebbe esprimere cento intenzioni diverse; anche un fischio, d'altronde; parlarsi tacendo, o fischiando, è sempre possibile; il problema è capirsi. Oppure nessuno può capire nessuno: ogni merlo crede d'aver messo nel fischio un significato fondamentale per lui, ma che solo lui intende.
È un fischio puro, sonoro, vario, quasi un flauto, sempre allegro".
La vita del cortile diventava ancora più intima quando le femmine di Merlo ci sceglievano per costruire il loro nido. Con cura materna sceglievano i legnetti più utili per creare il nido migliore.
Il primo nido, un anno fa, era sul grande albero di albicocche al centro del cortile ed era composto da legni e da alcuni lacci di sacchi di plastica da immondizia che davano al nido un tocco artistico. Il laccio di plastica aveva assunto una nuova utilità, un regalo che il merlo femmina faceva al condominio: penzolando dal nido il laccio diventava un segnavento. Io e te osservavamo la cura con la quale il merlo costruiva il nido, pezzo dopo pezzo prendeva forma. Diventava alto e largo. Non riuscivamo a vederci dentro però ci era chiaro che la vita fosse lì dentro. Un Sabato vennero per sfoltire parte dell'albero di albicocche. Tutti i condomini, te compresa, eravate affacciati con ansia per monitorare che gli addetti ai tagli non toccassero il nido. Pulivo i piatti mentre ti giri di getto e mi chiedi con ansia mista a rabbia: "devo dirglielo di non toccare il nido? Pensi che lo taglieranno? Se lo fanno mi incazzo, guarda!". L'addetto al taglio ha notato il borbottio così decise di rasserenare tutti i presenti che erano affacciati nella corte.
Con il passare dei mesi noi inquilini contribuivamo al sostentamento della famigliola che aveva residenza in cima all'albero.
Dal finestrone lasciavamo cadere le briciole del pasto appena consumato mentre The Night dei Morphine scorreva in sottofondo. Tu mi ripetevi di cambiare canzone perché eravamo arrivati al ventesimo ascolto consecutivo. Ripetiamo tutti, chi più chi meno. Certo, trasgredivamo spesso le regole della civile convivenza, al desiderio non si mettono briglie. Il desiderio è sempre una giusta causa da seguire e quella piccola trasgressione non ha arrecato danno alcuno.
Il secondo anno la femmina di merlo ha cambiato luogo nel quale creare il nido. Questa volta la scelta è ricaduta sulla grande pianta dai piccoli fiori rossi che si trovava sulla sinistra entrando nel cortile. L'ultima pianta a destra prima dell'ingresso all'ala sinistra del palazzo.
Era un posto di passaggio, un corridoio molto frequentato.
La Merla aveva deciso di portare i legnetti dentro quella grande pianta, provando a nascondersi non troppo. Sovente la guardavamo covare le sue uova color azzurro tenue. Sembrava le piacesse condividere la presenza e lo sguardo con gli inquilini del palazzo, anche se ogni volta che sbirciavamo meno delicamente verso il nido lei ci guardava in cagnesco.
Dopo circa 14 giorni le uova si schiudettero. Mancava poco che qualcuno sfoderava il fiocco nascita nel vaso d'argilla che conteneva la grande pianta dai piccoli fiori rossi.
Nel giro di poche settimane il nido si è svuotato. Gli inquilini erano andati via senza salutare. Era il momento di ammirare quella conca che fino a qualche giorno prima ha accolto il corso biologico del tempo.
Era fine Maggio quando, come al mio solito, rientravo veloce, sudato e angosciato. Il solito rumore di vetro e di metallo accompagnava i miei passi dentro il cortile. Mi fermai a guardare lo smartphone, risposi ad un messaggio. Alzai lo sguardo e vidi a qualche metro di distanza, sul lato sinistro del cortile, il merlo con il suo piumaggio nero lucente e il becco giallo, e la Merla, bruna con petto chiazzato e becco di un giallo più sfumato. Lui teneva nel becco un tozzo di pane, lei delicatamente lo beccava spezzandolo dalla sua bocca.
Sorpreso dalla vista, mi spostai lentamente verso il lato destro del cortile evitando di infastidire la coppia. Avrei voluto catturarli, bloccarli e rendergli impossibile il volo.
La luce di quell'istante doveva restare impressa dentro un chip elettronico. Così mi abbassai, levai lo sblocco al telefono e lo puntai come un fucile verso di loro. Guardai dentro al mirino cercando la migliore angolazione di sparo. Usai lo zoom per esser esser sicuro di colpirli. Ero diventato spietato. Trattenni il respiro e premetti il grilletto.
In quel preciso momento era inutile librarsi in volo. Li avevo catturati. Erano liberi di scappare, andare ovunque. Non esisteva più nulla, era svanito tutto: L'ambulatorio, il treno, i campi, il rumore metallico del portone che si chiudeva, il cortile, le bici, le colombe, le rondini, le cornacchie ed anche gli amici. Anche io sono scomparso da quei luoghi, in fretta. All'alba il cielo toscano era dorato e più tardi i venti accarezzavano Scilla e Cariddi. Una corsa lunga una notte.

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